Un altro “ismo” di cui occuparci: l’abilismo

abilismo
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Il termine abilismo lo abbiamo letto qua e là. Magari sui social, magari sentendone parlare di sfuggita alla televisione. Una parola che sembra essere nuova per molti e molte, ma che indica una forma di discriminazione fin troppo familiare per chi ne sperimenta gli effetti sulla propria pelle.

Se, infatti, si è abituati a sentire parlare di razzismo, femminismo e a riconoscere la discriminazione effettiva che questi fenomeni racchiudono in sé, è ancora difficile identificare l’insieme degli atteggiamenti negativi e/o quei comportamenti e pregiudizi discriminatori nei confronti delle persone con disabilità.

Fortunatamente, sta crescendo sempre più la consapevolezza di un bisogno di inclusione. Dall’altra parte, se siamo ancora qui a parlarne e a scriverne, significa che la questione è ben lontana dall’essere risolta. Basti pensare che il National Institutes of Health si sta occupando sempre più degli effetti dell’abilismo sulla salute delle persone con disabilità. La Dott.ssa Ashley Eisenmenger, specialista in formazione per l’inclusione della disabilità, ne dà una definizione che merita attenzione:

“L’abilismo è la discriminazione e il pregiudizio sociale nei confronti delle persone con disabilità, basato sulla convinzione che le capacità tipiche siano superiori. Nel profondo, l’abilismo è radicato nel presupposto che le persone con disabilità abbiano bisogno di essere “aggiustate” e definisce le persone in base alla loro disabilità. Come il razzismo e il sessismo, l’abilismo classifica interi gruppi di persone come “inferiori” e include stereotipi dannosi, idee sbagliate e generalizzazioni sulle persone con disabilità.”

In un suo articolo apparso su accessliving, la Dottoressa mette nero su bianco le diverse forme di abilismo, che ognuno di noi può tastare quotidianamente: il mancato rispetto delle leggi sui diritti delle persone con disabilità, le barriere architettoniche che non permettono l’accesso a luoghi e spazi, il linguaggio che scegliamo di utilizzare ogni giorno.

  • “Sei così ritardato.”
  • “Quel tizio è pazzo.”
  • “Ti comporti come se fossi bipolare.”
  • “Hai smesso di prendere le medicine?”
  • “È come se un cieco guidasse un altro cieco.”
  • “È una vera psicopatica.”
  • “Posso pregare per te?”
  • “Non ti considero nemmeno disabile.”
  • “Sei handicappato?”
  • “Che mongoloide quello lì!”
  • “Mah, a me sembri proprio spastico!”
  • “Ti hanno dato la 104?”

La disabilità diventa, così, “insulto”: tutte queste espressioni contribuiscono a far passare il messaggio di un individuo mancante di qualcosa, inferiore.

Ma l’abilismo per verificarsi non necessariamente deve assumere la veste di un’espressione o un comportamento denigratorio: lo stupirsi perché una persona con disabilità studia o lavora, pratica uno sport, si appassiona ad un hobby significa confermare il pregiudizio dell’individuo con limitazioni fisiche e mentali tanto da far apparire ogni sua azione come straordinaria.

Pregiudizi talmente tanto assidui e diffusi che, a volte, possono essere interiorizzati dalla stessa persona con disabilità.

Inspiration porn: l’altro lato della medaglia dell’abilismo

Stella Young, che è stata una comica, giornalista e attivista per i diritti delle persone con disabilità – ha coniato il termine “Inspiration porn” per indicare il fenomeno per cui la vita di una persona con disabilità è raccontata per ispirare gli altri.

In un TEDx dal titolo “I’m not your inspiration, thank you very much.”

“vrete visto immagini come questa: “L’unica disabilità nella vita è un cattivo atteggiamento” [Immagine di un ragazzo senza gambe che nuota]. O questo: “La tua scusa non è valida [in inglese rende meglio: you excuse is “invalid”]” [Immagine di un bambino in sedia a rotelle con un pallone da basket in braccio, su un campo di basket]. Infatti. O questo: “Prima di abbandonare, prova!” [Immagine di una bambina Down che corre su un campo sportivo]. Questi sono solo un paio di esempi, ma girano un sacco di queste foto. […] E queste immagini, ce ne sono tante là fuori, sono ciò che chiamiamo “inspiration porn” (pornografia motivazionale). E uso deliberatamente il termine porno perché oggettivano un gruppo di persone a beneficio di un altro gruppo di persone. […] Uso deliberatamente il termine porno perché queste immagini oggettivano un gruppo di persone a beneficio di un altro gruppo di persone. Quindi, in questo caso, stiamo trattando le persone disabili come oggetti a vantaggio delle persone non disabili. (uso il termine “persone disabili” abbastanza deliberatamente, perché aderisco a quello che viene chiamato il modello sociale della disabilità, che ci dice che siamo resi disabili più dalla società in cui viviamo che dal nostro corpo e dalle nostre diagnosi.) Lo scopo di queste immagini è quello di ispirarvi, motivarvi, in modo che possiate guardarle e pensare: Beh, per quanto brutta sia la mia vita, potrebbe essere peggio. Potrei essere quella persona. […] Ma cosa accade se tu sei quella persona? Ho perso il conto delle volte in cui sono stata avvicinata da sconosciuti che volevano dirmi che pensavano che fossi coraggiosa o una fonte di ispirazione, e questo è stato molto prima che il mio lavoro avesse un qualsiasi tipo di profilo pubblico. Si stavano semplicemente congratulando con me per essere riuscita ad alzarmi la mattina e ricordare il mio nome. Questo è trasformare in oggetti. Queste immagini trasformano le persone disabili in oggetti a beneficio delle persone non disabili. Sono lì in modo che tu possa guardarli e pensare che le cose non sono così male per te, per farti mettere le tue preoccupazioni in prospettiva. […] La disabilità non ti rende eccezionale, ma mettere in discussione ciò che pensi di sapere al riguardo lo fa.”

Fronte Italia, Elena Paolini e Maria Chiara Paolini, Attiviste, formatrici e consulenti, autrici di due libri sull’abilismo:

“Un concetto ancora troppo poco conosciuto. In inglese, lingua in cui se ne parla un po’ di più, si dice “ableism”. Così come razzismo, omobitransfobia e sessismo, discrimina sulla base di corpi, comportamenti o bisogni “diversi” da un presunto standard. Così come altre discriminazioni, l’abilismo considera superiori e normali alcune persone rispetto ad altre. L’abilismo ha effetti quotidiani e durissimi.”

L’abilismo è una questione culturale, ed è attraverso la cultura – del rispetto e della diversità – che possiamo “decostruirlo intorno e dentro di noi”, attraverso gesti, azioni consapevoli e parole che possano unire.

Vi è la necessità di abbandonare l’atteggiamento di chi, sentendosi superiore, ritiene di non dover indietreggiare, non dover adattarsi, non dover imparare. La differenza non deve essere più vista come un qualcosa da modellare per poterla conformare a ciò che si ritiene essere la norma.

Bisogna sostituire il termine specificità a quello di normalità e iniziare a mettere davvero al centro il valore di ogni persona.

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