Il progetto “Dopo di noi”: una palestra di vita per la disabilità

Dopo di noi
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Coloro che vivono la disabilità, soprattutto i genitori, condividono una domanda: “Cosa succederà dopo di noi?”

“Dopo di noi” è un percorso di accompagnamento delle persone adulte con disabilità verso l’uscita dal nucleo domestico, uno sguardo al futuro nella prospettiva di quando verrà meno il sostegno familiare.

Ma soprattutto, rappresenta una pianificazione d’amore che possa garantire alle proprie persone care il diritto di realizzare un “programma di vita”.

“Dopo di noi” è anche una vera e propria palestra di vita e una progettualità complessa: per questo abbiamo intervistato la dott.ssa Federica Iachetti, psicologa e specializzanda in psicoterapia cognitivo comportamentale.

Federica, potresti parlarci del progetto “Dopo di noi” di Servigliano e com’è strutturata l’équipe?

L’équipe con cui lavoro, nel progetto “Dopo di noi”, è formata da due coordinatrici e tre operatori: io, in qualità di educatrice, Francesco, operatore socio sanitario de Il Faro e Loris Ramini, educatore della COOSS Marche e presidente dell’Associazione di volontariato “Volere Volare”.

Pur trattandosi di un lavoro svolto in sinergia, abbiamo cercato di dividerci i compiti: Francesco si occupa dell’aspetto legato all’iter personale, Loris degli aspetti educativi e io dell’aspetto educativo e in parte psicologico dei ragazzi e delle famiglie che decidono di intraprendere questo percorso.

Il progetto “Dopo di noi” è nato a novembre, anche se una prima progettualità, interrotta a causa del Covid, risale al 2019. Quello che abbiamo cercato di fare, fin dall’inizio, è stato stabilire dei punti cardine, visto che sono le stesse famiglie ad avere molta confusione.

Una confusione derivante anche dal fatto che si parla di “Dopo di noi” e “durante di noi”: quello che noi stiamo facendo attualmente è più un durante noi; ci stiamo preparando al dopo.

Perché si parla di durante e dopo di noi?

Andando avanti con il progetto, ci siamo resi conto delle reali necessità delle famiglie di cui ci occupiamo. Stiamo parlando di genitori con figli a carico da 45 anni che non sempre riescono subito a fidarsi. Noi non utilizziamo nessun protocollo stabilito, ma cerchiamo di impostare il lavoro partendo dalle loro reali necessità, cercando di metterci nei loro panni.

Per quanto riguarda la progettualità, “Dopo di noi” prevede una fase A e una fase B. La fase A è composta dal sollievo: un luogo in cui i ragazzi possono temporaneamente sostare e attività che garantiscono un momento di riposo sia per i beneficiari del servizio che ai caregiver. La fase B è il co-housing che viene preceduto da una valutazione effettuata insieme ai servizi competenti: dobbiamo capire se effettivamente questi ragazzi sono in grado di vivere insieme, dal momento che noi operatori non possiamo essere presenti 24h.

Inoltre, si sta pensando di costruire una Fondazione di comunità, dove i fondi delle famiglie vengono inseriti all’interno del trust e, dunque, sono i familiari stessi a dividersi le spese dell’affitto, delle bollette e dell’assistenza di una badante permanente.

A causa della burocrazia, tutto ciò è di una difficoltà immensa, ma stiamo cercando di renderla il più semplice possibile.

Dopo di noi

In qualità di psicologa, non è semplice nemmeno la gestione dei sentimenti delle persone e delle famiglie che segui. Quali sono i sentimenti che emergono principalmente durante il percorso?

All’inizio i familiari erano molto scettici perché di questo progetto se ne era parlato tanto, senza mai effettivamente realizzarlo. Per superare questa diffidenza, ci siamo messi in osservazione e abbiamo cercato di capire la chiave più giusta per entrare in contatto con loro. Abbiamo parlato con loro, siamo andati a casa loro, abbiamo creato un questionario per conoscere le abitudini dei figli, li abbiamo coinvolti in ogni fase del progetto. Tutto ciò ha creato una vicinanza importante.

Con il tempo, poi, hanno visto anche i primi risultati: i loro figli tornavano a casa contenti, erano felici ogni volta che passavano di fronte all’appartamento e non vedevano l’ora di tornare.

Quello che ripeto ai familiari è di riprendersi il loro tempo e il loro spazio, facendo qualcosa che non hanno più avuto la possibilità di fare. Il vederli soddisfatti ci fa comprendere, nonostante tutte le difficoltà, l’importanza del nostro lavoro. Difficoltà date dal fatto che a Servigliano abbiamo cinque ragazzi con una disabilità molto grave.

Stiamo parlando di disabilità fisica o mentale?

Il primo bando di “Dopo di noi” è stato aperto soltanto per la disabilità fisica.

A Servigliano, tutti frequentano un centro diurno e hanno problemi molto gravi: qualcuno è in carrozzina, altri hanno disagi cognitivi importanti. Io credo fermamente nelle loro potenzialità: con tempo e pazienza, i risultati arrivano.

Ora stiamo sviluppando dei percorsi strategici, ma cerchiamo sempre di ricordare ai genitori che il co-housing non può essere aperto a tutti.

Si tratta di un lavoro fondamentale, visto che “dopo di noi?” è la domanda che tutte le famiglie si fanno.

Era una domanda che mi veniva sempre fatta dai genitori dei bambini con cui lavoravo a Padova e a cui non sapevo rispondere. Ora quando mi chiamano, per sapere se i loro figli possono entrare nel progetto del co-housing, rispondo che è una possibilità da valutare in futuro. Cerchiamo di essere il più realistici possibile, non possiamo permettere la vita indipendente a tutti e i genitori apprezzano questa sincerità.

Per ora stiamo stabilendo dei percorsi ipotetici: rosso, arancione e verde per stabilire chi ha le competenze per poter fare il co-housing.

Nel frattempo, a Servigliano, siamo impegnati in una progettualità chiamata “palestra di vita”. L’associazione Anffas si occupa del laboratorio creativo e di cucina, mentre noi del percorso d’igiene personale, gestione della casa e autodeterminazione. Cerchiamo di fornire strumenti utili, li condividiamo con i familiari e chiediamo loro di provarli anche a casa.

Parallelamente, lavoriamo sulla vita di comunità: andiamo al bar, in piazza, al supermercato, ai musei, stiamo iniziando anche un percorso di benessere estetico con un’estetista e una parrucchiera di fiducia. Abbiamo anche iniziato a fare delle piccole gite: siamo andati a pranzo in un ristorante per valutare la competenza sociale, ma anche la sensibilità delle persone che ci accolgono.

Un altro progetto viene realizzato a Fermo con Psiche2000, un’associazione che si occupa di disagio psichico e con cui viene portato avanti un laboratorio di cucina. Infatti, il nuovo bando di “Dopo di noi” è stato aperto anche al DSM (Dipartimento di Salute Mentale).

Il lunedì, invece, andiamo alla fattoria sociale Monte Pacini, dove stiamo facendo dei biscotti destinati alla vendita, e il mercoledì io e Loris visitiamo le singole case in modo da creare programmi a hoc per incrementare la vita indipendente delle persone di cui ci occupiamo.

Inoltre, a Servigliano e a Fermo, abbiamo avviato uno sportello legale a cui i genitori possono accedere e dei gruppi AMA (Auto Mutuo Aiuto) con una psicologa. Questi gruppi destinati ai familiari coinvolti nel progetto e a quelli che hanno intenzione di aderire.

Esiste anche uno sportello informativo e a breve uscirà la carta dei servizi rivolta all’intera popolazione, per avere tutte le informazioni e i numeri utili a cui rivolgersi in caso di necessità.

In questo progetto tutto è costruito su misura delle necessità della singola persona. Se ora entrasse una nuova figura all’interno della vostra équipe, quale sarebbe il primo consiglio che le daresti?

Non avere preconcetti, perché per capire quello che dev’essere fatto, bisogna prima ascoltare e osservare.

E qual è l’aspetto del tuo lavoro che ti dà maggiore soddisfazione?

Lavorando con l’autismo, ti domandi molte volte se quello che stai facendo sia veramente utile. Poi, arriva quel momento in cui capisci che il tuo lavoro è servito. Lo chiamo “il momento impagabile”. Ad esempio, l’altro giorno una mamma mi ha detto che le sue figlie avevano sparecchiato la tavola da sole. Sono queste piccole cose a darmi soddisfazione.

Stiamo cercando di esplorare e costruire la loro quotidianità, perché il principio fondante del “Dopo di noi” è l’autodeterminazione e ognuno deve raggiungerla attraverso i propri strumenti e seguendo i propri interessi.

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