Giovani, sessualità, affettività, relazioni: l’intervista alla sessuologa

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Grazie al Progetto Affettività, la dott.ssa Claudia Pettinari, psicologa clinica e sessuologa, e la dottoressa Luciana del Grosso, Psicologa Psicoterapeuta, hanno tenuto degli incontri nella scuola secondaria di primo grado presso l’Istituto Comprensivo Vincenzo Pagani di Monterubbiano.

Educare all’affettività e alla sessualità significa educare alla vita, a vivere insieme alle altre persone nella piena consapevolezza delle emozioni proprie, degli altri e delle altre. Affidarsi ai professionisti e alle professioniste aiuta ad apprendere nozioni tecniche, ma soprattutto ad affrontare tematiche culturalmente urgenti quali i valori del rispetto, del consenso, della responsabilità.

Abbiamo avuto il piacere di intervistare la dottoressa Claudia Pettinari, psicologa clinica, sessuologa e nostra operatrice del CAV, il nostro Centro Antiviolenza SOS Donna. 

Claudia, come si strutturavano gli incontri in classe? Cosa prevedeva “Progetto Affettività”?

Il progetto ci ha chiesto di affrontare l’educazione sessuale e sentimentale con i ragazzi e le ragazze che frequentano la terza media.  Luciana del Grosso, psicologa e psicoterapeuta, si è soffermata maggiormente sui sentimenti, sull’aspetto emotivo e quindi sulle relazioni. Io, invece, mi sarei occupata principalmente della parte organica e sessuale. Sia io sia la mia collega abbiamo impostato gli incontri soprattutto sulle domande che ci ponevano i ragazzi, riguardanti l’educazione sessuale, le relazioni, la sessualità, l’identità di genere, l’autostima. Quindi i ragazzi e le ragazze erano liberi di chiederci qualsiasi cosa, in maniera totalmente anonima e libera.

E credo che sia fondamentale l’anonimato, perché si sono sentiti proprio liberi e libere

di esprimersi e di chiedere senza timore…

Sì, esatto. 

In un tempo come quello attuale, culturale, in cui si invoca proprio come urgenza un’educazione sentimentale, sessuale e effettiva, anche come antidoto alla violenza di genere, alla mancanza di comprensione del concetto di consenso, di rispetto dell’altra persona…. Quanto è importante per te, come professionista, affrontare determinate cose in una scuola media? Inoltre, in ottica di prevenzione, c’è un’età in cui è preferibile iniziare, sia in famiglia sia a scuola, ad affrontare questi argomenti così importanti?

L’educazione sessuale e sentimentale è fondamentale fin dalla scuola dell’infanzia. È chiaro che i temi destinati all’infanzia non possono riguardare gli organi riproduttivi e l’aspetto tecnico in modo specifico. Ma è importante educare tutti i bambini, quindi partendo proprio dall’infanzia, al consenso e al rispetto. Nel momento in cui si parte da questo, gran parte del lavoro è stato già fatto.

Fornire informazioni accurate sui vari aspetti che riguardano la sessualità significa proprio aiutare il bambino prima, il ragazzino poi, l’adolescente in seguito, a fargli comprendere meglio il suo corpo e tutte le relazioni sessuali e affettive che potrà avere. È chiaro che con i piccoli possiamo lavorare principalmente sul consenso e sul rispetto dell’altro. Crescendo si andranno a trattare diversi aspetti della sessualità, ma anche dell’affettività, con i cambiamenti fisici e psicologici che ci sono durante la pubertà: la riproduzione, la contraccezione, le malattie sessualmente trasmissibili e il consenso, per fare in modo che i ragazzi comprendano meglio sia il loro corpo sia le relazioni che avranno. 

Secondo te è utile un andamento parallelo tra scuola e famiglia? Un lavoro congiunto, una sinergia tra casa e istituzioni oppure, come sostengono alcuni genitori, la maggior parte dell’educazione deve nascere ed essere nutrita dentro le mura scolastiche?

Il mandato della scuola è fondamentale sicuramente, ma ci dev’essere chiarezza su cosa fare. È chiaro che poi il tempo che il bambino trascorre a scuola non è tutto, per cui il resto va fatto a casa. Quindi il lavoro dev’essere svolto insieme. Solo che, ripeto, dev’essere chiaro che cosa bisogna fare. Educare i bambini e le bambine alla sessualità e all’affettività significa proprio educarli a poter dire che cosa vogliono e che cosa accettano. Cosa che non c’è oggi. Pensiamo semplicemente al fatto che ad una bambina piccola dell’asilo viene detto “dai vai a dare un bacino allo zio, un bacino alla zia, dai dalle un bacino, che la fai contenta”. E è da lì, secondo me, che si parte a non rispettare il bambino o la bambina per quello che veramente vogliono. Purtroppo siamo abituati a una società in cui si forza il bambino o la bambina a mostrare affetto anche se non vuole. E questo va destrutturato secondo me. 

Oltre che psicologa e sessuologa, sei anche operatrice di riferimento al CAV, il Centro Antiviolenza SOS donna. Cosa porti in una classe di adolescenti della tua esperienza al CAV?

A parte accoglienza e ascolto, che è la base di un lavoro come questo, l’altro focus è lavorare in sinergia con la donna. Quindi farle capire, aiutarla a comprendere che in questo spazio è lei che decide e che qualsiasi decisione dovesse scegliere noi siamo con lei, camminandole a fianco. Mi capita anche di fare educazione ai diritti che dovremmo avere noi donne, o socializzate tali, ma ancora non abbiamo, soprattutto con le ragazze più giovani. Però principalmente il lavoro nostro è questo: accompagnamento e consenso. Sembra ripetitivo quello che dico, però è fondamentale il lavoro che viene fatto in sinergia per l’uscita dalla violenza, perché spesso le donne che si rivolgono a noi è perché sono coinvolte in una relazione violenta.

E a proposito di violenza, fisica o psicologica: quanta consapevolezza c’è, sia nei ragazzi sia nelle ragazze, di quelli che possono essere i segnali precoci di una relazione tossica? Quando si parla di femminicidio o di rispetto, quanta consapevolezza vedi nei ragazzi e nelle ragazze con cui ti sei trovata a lavorare in questo periodo?

Purtroppo c’è poca consapevolezza. Ad oggi ancora c’è la mentalità per cui se il mio ragazzo è geloso e non mi permette di fare determinate cose, significa che ci tiene. E questo è problematico sotto diversi punti di vista, perché limita la libertà e i desideri dell’altra persona.

Penso che un problema grande della mancata evoluzione sia che, ad oggi, le ragazze hanno preso come autodeterminazione il comportamento maschile, che è più di potere e di forza. E, dall’altro lato, i ragazzi non hanno fatto quello che avrebbero dovuto fare, ovvero prendere comportamenti più rispettosi e non di forza da parte delle femmine. Anche le femmine, oggi, agiscono forza e possesso. Il problema è che non ci si mette in discussione in questo modo. La parte più rispettosa e più attenta all’affettività viene messa da parte sia dai maschi sia dalle femmine, perché considerata più debole. E questo è veramente un problema.

Una domanda riguardante i social. Sia i ragazzi sia le ragazze si muovono tantissimo con i social. La realtà virtuale è un’altra: c’è la tendenza a presentarsi all’esterno in maniera diversa, più edulcorata. Quindi hanno spesso una visione di se stessi o di se stesse distorta, a causa dei filtri di modifica dell’immagine e il vedere solamente quello che vogliono far vedere di bello all’interno della loro giornata. Che cos’è che vedi che accade, secondo te, nel passaggio tra virtuale e reale? Nella relazione con l’altra persona senza filtri?

Da un lato il virtuale aiuta, perché grazie al web abbiamo maggiore conoscenza di tantissime cose. Dall’altro non ci educa alla relazione vis-à-vis. E questo è chiaro che è problematico.

Però, nel momento in cui si prende questa consapevolezza, si dovrebbe far capire ai ragazzi che va bene mettere il filtro, va bene presentare sui social quella parte di noi che è più bella. Però c’è anche altro e dobbiamo parlarne.

Per me la strategia è quella, cioè quella di parlarne e mettere sul tavolo che esiste sia il bello sia il brutto. 

La parte vulnerabile viene considerata meno di valore. C’è una parte dei Social Media che la mostra, ma è una parte che, per essere vista, dev’essere accuratamente cercata. Le famiglie dovrebbero parlare di questa parte, ma non so quante famiglie siano pronte oggi. C’è una rincorsa al tempo, che non abbiamo, e questa particolare tematica richiede tempo, spazio e desiderio di mettersi in discussione. Occorrerebbe scoprire tutte le carte in tavola, mostrando anche ciò che è più vulnerabile. Questo processo richiede un investimento da parte delle famiglie e delle scuole e, soprattutto, un cambiamento nella società.

Per quanto riguarda l’insicurezza a livello fisico e/o psicologico che può scaturire dal confronto, virtuale o non, con l’altra persona: che cosa accade? 

Il problema più grande è l’esposizione continua al porno mainstream, che conduce a una curiosità quasi morbosa e a specchiarsi in quelle figure. Mi piace spiegarlo così in aula: “ragazzi e ragazze, il porno è come Star Wars. Se nello schermo vedete due Jedi che combattono con la spada laser, che cosa pensate? Che lungo la strada potreste trovare due Jedi che combattono con la spada laser? No. E così è il porno. Il porno è finto. Se continuiamo a credere di poter arrivare a quelle performance, purtroppo siamo lontanissimi dal nostro benessere. Siccome si fa fatica a parlare di sessualità, sia da parte della scuola, sia a casa, i ragazzi conoscono quel mondo lì e non c’è protezione, perché piattaforme come Pornhub o YouPorn prevedono soltanto la schermata “hai più di 18 anni oppure hai meno di 18 anni?”. L’accesso al porno è facile. Perciò i minori che vedono quel tipo di sessualità sono convinti che sia veritiera e vogliono ovviamente replicarla, con tutte le criticità che ne derivano, tra sensi di frustrazione e insoddisfazione. Nel porno c’è tantissima aggressività maschile, contrapposta alla sottomissione delle pornostar. Le ragazze si abituano a quello. 

Confrontandoti con i ragazzi e le ragazze, hai notato delle domande ricorrenti? Pensi ci sia maggiore conoscenza magari dell’aspetto tecnico, ma hanno bisogno di più formazione a livello sentimentale? 

Il problema grande è che, a causa di questi siti porno, i ragazzi sono convinti di sapere tutto. Quando io e la mia collega parlavamo di termini scientifici, loro ci dicevano “Sì, ok, ma a noi non importa del termine scientifico, basta sapere come si fa”. Questo per quanto riguarda la sfera sessuale in sé. Non erano pronti, invece, ad indagare la parte sentimentale.

Sia maschi sia femmine?

Sì. Perché nei ragazzi emerge la parte del “maschio Alfa” che si traduce in “non mi serve la parte sentimentale”. Nelle femmine c’è più vergogna.

Si potrebbe dire che nelle femmine esiste una vergogna e inconsapevolezza anche riguardo il loro piacere?

Storicamente e culturalmente, il piacere femminile non è stato mai considerato. Il fatto che la clitoride sia un organo inutile, perché è dedicato solo al piacere, è ad esempio un taboo enorme. Consideriamo che, ad oggi, ancora la masturbazione maschile è considerata giusta e lecita, la masturbazione femminile no. È un divario enorme ancora. È chiaro che se dobbiamo parlare di clitoride come organo di piacere si innesca un meccanismo di “fermi tutti”. È l’innominato. Questo perché non conosciamo il nostro corpo.  E, nello stesso tempo, ancora oggi è un problema provare piacere.

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