14 maggio… Oggi Festa della Mamma!
Quale giorno migliore per “tentare” di ricordare ciò che dovrebbe essere una delle esperienze più belle che una donna può vivere… la maternità, appunto!
E goderne attraverso il suo corso naturale…e sereno, com’ è giusto che sia.
Eppure, per quel che mi riguarda non ricordo quasi nulla di tutto ciò, nonostante sia mamma anch’io.
La mente ha relegato da qualche parte quei ricordi; mi viene da dire i residui di una “precedente vita” non vissuta ma subita, che il tempo successivo non ti permette più di ricordare o forse l’anima troppo straziata ha dovuto dimenticare.
Gli addetti ai lavori li definiscono “traumi”.
Il mio passato ne è costellato e dell’esperienza della mia maternità mi resta giusto qualche flash.
Al contrario di qualunque mamma, che invece riuscirebbe a raccontarla nei minimi dettagli, citando date e persone a lei vicine, o magari narrandone le dinamiche con la luce negli occhi… io, anche sforzandomi, non ricordo quasi nulla. Se non il pensiero che mi riporta a vaghe sensazioni che richiamano frustrazione, rabbia, impotenza, umiliazione…invadenza.
Queste mi sono rimaste addosso come un marchio indelebile più di qualunque altro ricordo!
È forse questo l’imprinting che resta ad una madre a cui non è concesso di poter accudire i propri piccoli?
Ricordo che il mio primo accudimento era rivolto al loro padre piuttosto, un partner maltrattante.
I bisogni dei miei figli venivano meno, perché costretta ad assecondare quelli del padre con la speranza di placarne le ire!
Ero come anestetizzata. Ancora oggi, quando mi capita di vedere qualche giovane mamma allattare il proprio figlio con quella luce negli occhi, ammetto di provare una certa invidia!
Ho provato la stessa cosa anche quando ho visto il compagno della mia migliore amica proteggerla amorevolmente e allo stesso modo preoccuparsi per lei!
Il primo esempio è verità, il secondo è solo una metafora per far capire l’entità della mia storia e nella quale, sono certa, si riconoscono tante donne con background simili al mio.
Ho vissuto nella “paura” per lungo tempo; escogitare costantemente strategie per non soccombere era il mio principale compito.
E paradossalmente diventi talmente abile a fare questo che diventa un lavoro quotidiano, estenuante.
Vivi segregata in una realtà totalmente distorta, folle… ma per te è assolutamente normale, soprattutto perché chi ti circonda ti ha fatto terra bruciata intorno e te lo fa credere!
Tutto il resto si annulla; il mondo fuori si cancella…perché ero nel suo.
Non sei più una donna, non puoi fare la mamma, ti vietano di essere figlia e ciò che resta di una moglie non è proprio contemplato.
Zero identità.
Eppure in questo scenario avvertivo da sempre come una voce in sordina dentro di me…più tenace di tutto ciò che accadeva là fuori.
Ed è stata questa la “risorsa” che un giorno mi ha spinta a chiedere aiuto uscendo allo scoperto.
Da lì ricomincia la mia seconda vita.
Solo da allora mi riconosco come mamma e mi rivedo come una donna!
Restano buchi neri, rimpianti di ciò che non mi è stato concesso; come il poter gioire nel prendere mio figlio in braccio se aveva bisogno di me, ma c’era sempre qualcun altro al mio posto che si accaniva a farlo.
Resta la rabbia per cui in qualsiasi momento avrei potuto prendere i miei figli ed andarmene senza voltarmi più indietro.
Ma ricordo che non potevo nemmeno azzardare un pensiero del genere…non osavo nemmeno immaginare un domani, tanto era l’annichilimento.
Ho aspettato giorni, e poi mesi, e poi anni affinché arrivasse il mio momento. “Gutta cavat lapidem“… un po’ come la goccia che scava la roccia!
Resta la frustrazione di quando ti capita di conoscere altre persone che vivono i loro legami o le loro unioni protette dai loro compagni o che hanno il sostegno delle loro famiglie alle spalle… perché tu semplicemente non sai cos’è.
E ricominci da qui, con la sete di comprendere, capire da dove vieni e dove stai andando.
Vuoi sapere “chi sei” … forse non te lo sei mai chiesto!
Dai il via ad un processo in cui tu sei al centro e smetti naturalmente di proiettarti all’esterno.
Spazzi via i sensi di colpa lasciando il posto alle tue responsabilità.
Impari a prenderti cura di te e a proteggerti autonomamente.
Si rompe a tutti gli effetti un vecchio schema familiare per costruirne uno nuovo: il tuo.
Credo che donne come me abbiano dovuto necessariamente sviluppare doti e abilità forse diverse da chi ha avuto percorsi di vita più sereni, lineari.
E in generale non c’è da meravigliarsi se chi ha visto l’inferno, poi sia più forgiata per barcamenarsi in questa vita.
Ma chi resta in qualche modo nel proprio vittimismo, poi è difficile che possa riconoscerlo.
Perciò almeno per me è stato fondamentale in questi anni interfacciarmi costantemente con professionisti del settore, formati in violenza di genere dove realtà problematiche la fanno da padrone, sia per il mio percorso, ma soprattutto per salvaguardare la mia storia…a tal punto che ne è diventata la mia passione. Trasformando così quelle vecchie ferite in “qualcosa di buono”!
Resti sempre in cammino…e quel viaggio sarà già un traguardo; tenendo bene a mente, che seppur attraverso gli altri, si vola sempre da soli nei momenti di verità.
Uno strumento di confronto per aiutare chi ancora crede di non farcela, con lo scopo di spezzare vecchi pregiudizi, educare ad essere sempre meno vittime e sempre più padroni di noi stessi.
Perciò scelgo di dare anch’io un contributo attraverso la mia testimonianza. Con la speranza che possa essere prezioso per altre donne e con l’auspicio che altrettante trovino il coraggio di farlo!
Ricordando che le nostre testimonianze non sono fatti opinabili…ma è la storia di ognuna di noi e in quanto tale va rispettata.
Da parte mia un augurio speciale va a tutte le mamme… DONNE.