“Un sogno inizia il più delle volte con un’insegnante che crede in te. È questo che ho scritto nella prima pagina. Per me è stato così: sono state le mie maestre, Beatrice e Alessandra, ad aiutarmi a coltivare la passione per la scienza.”
Queste le parole di Gabriele Ciancuto, un bambino che ad appena 12 ha pubblicato il suo primo libro: Il Sistema solare. La sua è una passione, che ha voluto unire a un desiderio: quello di far conoscere e comprendere il sistema solare ai più piccoli. La sua dedica alle maestre, il riconoscimento e la frase “Un sogno inizia il più delle volte con un’insegnante che crede in te” ci fa pensare: quanto è importante quando qualcuno crede in noi? Soprattutto nell’infanzia e nell’adolescenza, come abbiamo visto in un precedente articolo.
Ma che succede se… non c’è? Se quel ragazzo o quella ragazza non ha una particolare dote in qualcosa? Ovviamente è bellissimo avere una passione, poterla coltivare, e ancora più bello è quando questa passione combacia con una particolare predisposizione. Il problema sorge quando un ragazzo o una ragazza fonda la propria autostima sul fatto di avere o non avere un particolare talento. Perché il termine “talento”, negli ultimi anni, è diventato una sorta di must have. E coltivarlo, non sprecarlo, “massimizzarlo”… diventa praticamente d’obbligo. Non è così raro pensare, ad un certo punto nella vita, frasi come “non sono capace in niente”.
“Tu non sei il tuo talento”
Jennifer Hamady, performance coach e terapista certificata a livello nazionale, ha scritto su Psychology Today un articolo interessante dal titolo “Tu non sei il tuo talento”. Notando la tendenza, sbagliata, a vedere un talento come un obiettivo finale, Hamady scrive:
“La nostra cultura fa un ottimo lavoro nel confondere il confine tra avere un talento ed avere talento. Di conseguenza, tendiamo a celebrare le persone per quello che fanno, non per quello che sono, rafforzando l’idea che “quello” è più importante – e più prezioso – di loro.
Ciò sembra tanto più reale per coloro che, in tenera età, si avvicinano troppo a questa visione culturale e iniziano a intrecciare il proprio talento con la propria autostima. Da quel momento in poi, il fallimento non è più un’opportunità per imparare e fare meglio la prossima volta. È la temuta conferma di essere veramente, completamente e assolutamente indegni. Il che spiega perché per così tante persone le competizioni, e persino le esibizioni, sono esperienze dolorose, traumatiche e snervanti.
È meraviglioso avere un talento. Ma il talento non è ciò che ci rende meravigliosi. Ricordare questa distinzione è ciò che dà alle persone potere, libertà e capacità di sviluppare e condividere quel talento, così come se stessi, senza riserve.”
La distinzione tra “avere un talento ed avere talento” sembra sottile, ma in realtà è abissale, quel tanto per ricordarci che
“abbiamo qualcosa a cui dedicarci in questo momento, indipendentemente dal fatto che abbiamo “trovato o meno il nostro talento”… le nostre vite!”